UN’AVVENTURA IN SICILIA
Riconciliazione e accoglienza
UN’AVVENTURA IN SICILIA
Nel secondo Libro dell’Eneide, dedicato al racconto di Enea a Didone delle tristi avventure dei Troiani, Virgilio descrive per bocca dello stesso Enea la rabbia e la disperazione che assalgono il figlio di Anchise di fronte alla città in fiamme e all’eccidio anche di giovani e anziani. Enea vorrebbe vendicarsi uccidendo più nemici possibile, cercando egli stesso la morte. Sarà la moglie Creusa a ridargli speranza e una prospettiva per il futuro. Nel racconto di quella notte traspare il possibile seme dell’odio e della vendetta contro i Greci.
Durante il lungo peregrinare di Enea, il nemico, un greco si trova nuovamente sulla sua strada. È Achemenide di Itaca, compagno del più spietato dei Greci, Ulisse. I Troiani sbarcano in Sicilia, alle pendici del Monte Etna (Libro III, 564 e seguenti). Anche Ulisse è passato di lì (Odissea Libro IX). Con la sua astuzia è riuscito ad accecare il gigante Polifemo, figlio di Poseidone, a uscire con i suoi compagni dalla caverna in cui erano rinchiusi, e a fuggire via mare. Ma Achemenide, l’ultimo a raggiungere la spiaggia, non è riuscito a salire sulla nave con i suoi compagni. Per lungo tempo ha vissuto nascosto nei boschi ai piedi del Monte Etna. È lacero, stanco, debole. Quale migliore occasione per Enea e i suoi compagni per vendicarsi della distruzione di Troia?
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Ma i Troiani non vi riconosco un nemico, ma un esule, un uomo stanco e fragile.
Il padre di Enea, il vecchio Anchise, compie il gesto che Achemenide non aveva previsto. Porge la mano al compagno di Ulisse e lo aiuta a rialzarsi.
“Lo stesso padre Anchise senza alcuna esitazione porge la mano al giovane e con quel segno di pace lo rincuora” (III, 610-611).
Achemenide racconta la sua storia e si confessa. Nei Troiani prevale sull’istinto di vendetta un sentimento di umana considerazione nel comune destino di sofferenza.
Ma mentre si compie il gesto di riconciliazione, dal Monte si avanza Polifemo volgendosi verso la spiaggia. Di nuovo un pericolo mortale. Bisogna fuggire.
“Accolto fra noi quel supplice così meritevole, tremando affrettiamo la fuga e in silenzio recidiamo la gomena; curvi solchiamo il mare facendo forza sui remi” (III, 366-368).
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